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31 ottobre 2011

Misoginia.

Ma che hanno fatto le donne ai "creativi" della pubblicità?
O meglio: perchè i creativi della pubblicità ce l'hanno così tanto e in modo così viscerale con il genere femminile?
Deve per forza trattarsi di maschi, mi rifiuto di pensare che tali creativi possano essere donne perchè nessuna donna rappresenterebbe mai sè stessa nei modi dei quali mi accingo a scrivere.

L'immagine della donna che esce dalle pubblicità è tremenda... e ciò rende - se possibile - ancor più incomprensibile l'accondiscendenza femminile verso la pubblicità, perchè è proprio alle donne che si rivolgono le peggiori pubblicità che vedo in televisione.

All'inizio fu Tino Scotti. 
Chi ha più di 40 anni ricorderà la sua famosissima pubblicità per il Confetto Falqui in un'epoca in cui, sia nella vita quotidiana che soprattutto in televisione, anche solo nominare qualcosa che avesse a che fare con funzioni fisiologiche era proibito, era tabù. 
Prima del 1970, ma anche poco dopo, nessuna persona per bene ed educata avrebbe potuto entrare in una farmacia e chiedere un purgante senza arrossire e senza sentirsi terribilmente a disagio, quindi buona parte del successo commerciale del Confetto Falqui è da ascrivere all'azzeccatissimo slogan che lo pubblicizzava: "Falqui, basta la parola!" e così non era necessario dover spiegare al farmacista di che disturbo si soffrisse e di cosa si avesse bisogno.

Che io ricordi, Tino Scotti è stato il primo e unico uomo stitico della pubblicità; al massimo con lui c'erano i bambini buoni, ai quali in quanto tali si propinava un altro purgante... e Dio solo sa cosa mai passasse in capo a quelle madri che per premiare i bambini che si comportavano bene li purgavano, in ciò sobillate da quello slogan tanto surreale quanto sadico: "Ai bambini buoni, la dolce Euchessina".
Quando ero bambino io (e grazie al cielo ero un po' discolo, il chè unito al fatto che mia madre era poco ricettiva alle pubblicità idiote e aveva il buon senso di non darmi farmaci dei quali non avevo bisogno, mi ha salvato da inutili purghe...) circolava una specie di battuta:
- "Ai bambini buoni, la dolce Euchessina"
- "E a quelli cattivi?"
- "Che spingano!"
Dopo Tino Scotti, il monopolio della costipazione intestinale perenne e continua è sempre stato appannaggio del genere femminile e se ci si fosse limitati a quello per le donne la situazione sarebbe anche stata accettabile.
Invece col passare degli anni la misoginia dei creativi della pubblicità ha raggiunto vette impensabili e temo che in futuro andrà anche peggio, se non si farà qualcosa.

Se si fa caso alle pubblicità di oggi e si ricordano quelle degli ultimi 30 anni circa, ci si accorgerà che le cose più innominabili, le situazioni più disgustose e le rappresentazioni più stupide vedono sempre e solo le donne come protagoniste, il chè equivale a dire che siccome la pubblicità punta all'identificazione del possibile acquirente con il testimonial, le destinatarie dei prodotti in oggetto dovrebbero in teoria identificarsi con le attrici che li promuovono e, in ultima analisi, essere come loro: svampite, sciocchine e portatrici "poco sane" dei più innominabili disturbi e/o problemi (non solo fisici ma, si direbbe, anche intellettivi).
Giusto per citare alcune pubblicità, oltre che essere le uniche sempre costipate, sono solo donne ad avere perdite di urina che le fanno vergognare per il cattivo odore se si trovano in ascensore con un uomo, sono solo donne ad avere protesi dentali instabili, solo le donne hanno pruriti intimi e non ne fanno mistero parlandone immediatamente con madri, amiche e colleghe, al punto che queste pur di zittirle mettono loro in mano lo spray giusto mentre una scritta in sovrimpressione avverte che il prodotto è per uso topico ed esterno, dal momento che lo spray in questione ha quasi lo stesso nome di un colluttorio e non si sa mai che qualcuna assuma per bocca l'antiprurito vulvare.

Un tempo le donne avevano bisogno dell'assorbente per pochi giorni al mese. Adesso invece ne hanno bisogno tutti i giorni: l'assorbente nei giorni canonici e il salvaslip per le piccole perdite durante il resto del mese. Tempo fa ce n'era uno ideale per le ragazze che dovevano fare un provino cinematografico e avevano necessità di fare la ruota indossando, chissà perchè, un paio di pantaloni candidi proprio durante il ciclo. 
Da un paio di giorni passa una pubblicità in cui una professionista grida tutta eccitata alla sua collega d'ufficio "Vado a cambiarmi lo slip!" come se fosse una cosa di cui andar sommamente fiera e dunque da sbandierare ai quattro venti, poi magnifica le virtù dell'ultimo assorbente da cambiare anche più volte al giorno, come se al posto di un normale ed efficente apparato urinario le donne avessero delle inarrestabili cateratte da contenere - sembra inutilmente a giudicare dalla pletora di salvaslip in vendita - con ogni mezzo.
Sono sempre donne ad aver bisogno di bere come cammelli bicchierate su bicchierate di acque oligominerali per stimolare la diuresi, fare tanta "plin plin", depurarsi e buttar fuori chissà quali tossine e scorie immonde; per la verità c'è anche un uomo che pubblicizza un'acqua minerale, ma da quanto si evince dalla pubblicità gli uomini non hanno scorie e tossine di cui liberarsi: a Del Piero - dunque per estensione agli uomini - l'acqua oligominerale è necessaria solo per poter digerire bene...

Che dire poi di quella pubblicità nella quale si vedevano alcune ragazze intente a brucare voluttuosamente l'erba di un prato solo perchè il cameriere sbadato ci aveva rovesciato sopra un aceto balsamico, peraltro industriale?
E di quella in cui la signora verniciava con movenze seducenti una ringhiera insieme alla cameriera Giovanna, a sua volta vestita come le servette dei film pecorecci degli anni '70, sotto lo sguardo soddisfatto del marito che commentava con voce sorniona "Brava Giovanna, brava..."?
E di quella signora arcigna che telefona annunciando il suo imminente arrivo e gettando nel panico il marito separato e le due giovani figlie, i quali si precipitano a pulire il bagno col disincrostante perchè la prima cosa che la signora farà arrivando in quella casa sarà correre immediatamente a passare il dito nel lavabo per assicurarsi che sia pulito a dovere?
Non parlerò per carità di patria delle condizioni in cui permettono che si riducano le loro case quelle donne che appaiono nelle pubblicità dei detersivi per pavimenti: nemmeno in una fonderia del diciannovesimo secolo alimentata a carbone il pavimento era nero e sporco come in quegli appartamenti; certi prodotti non li compro proprio perchè mi urta pensare che chi li produce mi consideri un sozzone di quella fatta.

C'è poi lo strano rapporto fra le donne e il cibo. 
Per pubblicizzare uno yoghurt lo slogan le invita a farci l'amore. In compenso se devono preparare qualcosa da mangiare per i figli di sicuro sarà qualcosa di fritto (Giravolte, Croccarelle, Sofficini, bastoncini di pesce o di pollo e simili), un formaggio da cucinare alla piastra o delle fettine che una bambina dal marcato accento brianzolo metterebbe perfino sul gelato, o passano direttamente a tortine e dolciumi. Pare che in Italia un bambino su quattro sia obeso e un altro su quattro sia sovrappeso; se la metà dei bambini italiani ha problemi metabolici sappiamo il perchè.
Un tempo c'era il dado da brodo: era piccolo, leggero, economico e funzionale. Adesso il dado non va più bene: il brodo di dado lo deve fare direttamente il produttore, deve metterlo in un brick da mezzo litro e raccontare che è buono come il brodo di manzo e cappone fatto in casa, così oltre al dado riuscirà a vendere alla massaia con poco tempo per cucinare - ma in compenso molto suggestionabile e poco attenta all'ecologia oltre che al borsellino - anche mezzo litro d'acqua, almeno 50 volte tanto di imballaggio e farsi pagare il tutto molto di più di un astuccio da 10 o 20 dadi.

Potrei continuare a lungo con gli esempi, ma mi fermo qui. Ciò che voglio sottolineare è lo scarso rispetto che i pubblicitari dimostrano per le donne e la pessima immagine che ne danno.
Mi dissocio da tutto questo: mi offende come uomo che contrariamente ai pubblicitari rispetta le donne, ne riconosce i meriti senza percepirli come una minaccia a un inesistente primato maschile e ha di loro un'opinione assai più alta.

Il solo modo per far cessare queste vergognose pubblicità è depotenziarle, renderle inutili: se la pubblicità è stupida, se squalifica il ruolo e la figura delle donne, se le tratta come delle minus habentes, basta non comprare i prodotti così reclamizzati.
Il solo modo per far cambiare registro alle aziende che commissionano siparietti così degradanti per le donne è colpirle nel fatturato: se perdono terreno rispetto alla concorrenza qualche domanda se la faranno immediatamente e agiranno di conseguenza.

Che la facciano da sole o insieme a un uomo, la spesa è un'incombenza che per mille ragioni ancora tocca prevalentemente alle donne, quindi sono proprio loro ad avere il potere di cambiare le cose.
Anzichè prestare attenzione a cose che pure sono importanti, come i cosmetici non testati su animali o i prodotti etici, ma che sono senz'altro secondarie alla mancanza di rispetto e all'insulto della loro dignità che è evidente in tante, troppe campagne pubblicitarie, sarebbe più opportuno che l'altra metà del cielo smettesse di comprare i prodotti reclamizzati in maniera degradante per le donne.

Signore, quando fate la spesa voi potete decidere di premiare chi vi rispetta e mandare in rovina chi vi considera delle poverette: il potere è nelle vostre mani, adesso tocca a voi esercitarlo. 
Io, nel mio piccolo, in questo vi sto già aiutando.

23 ottobre 2011

Ed è subito sera...



« Ognuno sta solo sul cuor della terra

trafitto da un raggio di sole:

ed è subito sera... »



© Ta7za 



Marco Simoncelli
20 gennaio 1987 ~ 23 ottobre 2011


17 ottobre 2011

"Bus", ovvero "Esercizi di Stile".

Quante volte ci sarà capitato di trovarci in compagnia di qualche conoscente che si sia messo a raccontarci i piccoli, insignificanti episodi accadutigli durante la giornata? Tante, immagino: succede a tutti.

Io di carattere sono più ascoltatore che ciarliero e a volte invidio un po' chi ha sempre qualcosa da raccontare: sarà perchè le cose che quotidianamente succedono a me non mi sembrano quasi mai così interessanti per il prossimo da mettermi a raccontargliele, sarà perchè la penso come l'abate Joseph Antoine Dinouart, ecclesiastico francese del 18° secolo che nel suo libro "L'Arte Di Tacere" (link) consigliava di parlare soltanto quando ciò che si ha da dire vale più del silenzio, ma a volte la mia scarsa attitudine a riempire il silenzio che ogni tanto cala fra me e le persone con cui mi trovo mi mette a disagio.

Immaginiamo dunque di essere al cospetto di un conoscente a cui non faccia difetto la facondia e che costui ci racconti di essersi trovato su un autobus verso mezzogiorno, di aver notato un giovane vestito in modo stravagante litigare con chi gli stava vicino accusandolo di spingerlo ogni volta che qualcuno passava loro accanto, di averlo visto sedersi nel primo posto libero e di aver poi rivisto quel giovane nel pomeriggio davanti alla stazione, mentre parlava con un suo amico il quale - covando forse velleità di stilista - gli suggeriva di far aggiungere un bottone alla sciancratura del soprabito.
Se questo narratore fosse un mio conoscente lo ascolterei per educazione, ma lo farei pensando che a me di ciò che ha visto sull'autobus non cale punto.

Però se a raccontarmi questo insignificante episodio fosse Raymond Queneau, allora lo ascolterei con estrema attenzione e soprattutto con sommo piacere. Lo ascolterei con interesse anche se me lo raccontasse per novantanove volte, perchè è questo che ha fatto Queneau nel suo straordinario libro "Esercizi Di Stile": ha raccontato novantanove volte la stessa trama cambiando ogni volta stile narrativo, lessico e utilizzando parecchie figure retoriche in modo magistrale.
Per la verità il successo della versione italiana è da ascrivere principalmente alla traduzione di Umberto Eco, anche se più che di una traduzione si tratta in realtà di una riscrittura; l'originale in francese è di fatto intraducibile a causa dell'impossibilità di trasporre quei testi in una lingua diversa mantenendone le caratteristiche stilistiche originali e il senso. I giochi di parole sono intraducibili.

Dopo aver letto le prime pagine di quel libro non riuscivo a fermarmi: ero curioso di vedere come sarebbe stata la versione successiva del racconto e non lo appoggiai fino a che non ebbi girata l'ultima pagina.
A ogni nuova narrazione del racconto, a ogni nuovo stile, io rimanevo sorpreso per la genialità di quell'esperimento e per la grande abilità necessaria a portarlo a termine. Naturalmente non tutte le versioni sono brillanti, tuttavia è una lettura piacevole per chi ama i giochi di parole e la scrittura creativa.

Nel 1982 vidi a teatro "Bus", spettacolo in cui Paolo Poli si cimentava nell'interpretazione degli "Esercizi Di Stile". Lo ricordo come uno spettacolo straordinario: se si mettono idealmente insieme in un teatro due giocolieri della parola come Raymond Queneau e Umberto Eco, un folletto / animale da palcoscenico come Paolo Poli, le scenografie di Emanuele Luzzati e i costumi di Santuzza Calì, di sicuro si assiste a qualcosa di unico.

Qui di seguito riporto la prima narrazione, seguita dai lipogrammi in A e in E (nei quali non compare la vocale del titolo e che nel libro sono anche in I, O e U) e dalla versione in latino maccheronico. Dovrebbero bastare a stuzzicare la voglia di leggere tutto il libro.

Narrazione
Sulla S, in un’ora di traffico. Un tipo di circa ventisei anni, cappello floscio con una cordicella al posto del nastro, collo troppo lungo, come se glielo avessero tirato.
La gente scende. Il tizio in questione si arrabbia con un vicino. Gli rimprovera di spingerlo ogni volta che passa qualcuno. Tono lamentoso, con pretese di cattiveria.
Non appena vede un posto libero, vi si butta.
Due ore piú tardi lo incontro alla Cour de Rome, davanti alla Gare Saint-Lazare. È con un amico che gli dice: «Dovresti far mettere un bottone in piú al soprabito». Gli fa vedere dove (alla sciancratura) e perché.

Lipogramma in A
Un giorno, mezzogiorno, sezione posteriore di un bus S, vedo un tizio, collo troppo lungo e coso floscio sul cucuzzolo, con un tessuto torticoloso.
Costui insultò il suo vicino dicendo che di proposito gli premesse sul piede, ogni momento che un cliente del mezzo venisse su o giú.
Poi si fece silente e occupò un posto libero.
Lo rividi, un tempo di poi, nel luogo dei treni che si vuole rechi il nome di un uomo pio, con un sempronio che gli dice di mettere piú in su il bottone del suo vestito d’inverno.

Lipogramma in E
Un giorno, diciamo dodici in punto, sulla piattaforma di coda di un autobus S, vidi un giovanotto dal collo troppo lungo: indossava un copricapo circondato da un gallon tutto intorcicolato.
Costui apostrofò il suo vicino urlando: «tu di tua volontà mi schiacci quanto la scarpa si vuol copra, ad ogni monta o dismonta di qualcuno! »
Poi non parla piú, occupando un posto non occupato.
Non molti minuti di poi, scorgo colui al luogo di raduno di molti vagoni, parlando con un amico il qual gli intima di spostar un poco il botton di un suo soprabito.

Latino maccheronico
Sol erat in regionem senithi et calor atmospheri magnissima. Senatus populusque parisensis sudabant. Autobi passabant completi. In uno ex supradictis autobíbus qui S denominationem portabat, hominem quasi moscardinum cum collo multo elongato et cum capello a cordincula tressata cerclato vidi.
Iste junior insultavit alterum hominem qui proximus erat: pietinat, inquit, pedes meos post deliberationem animae tuae.
Tunc sedem líberam videns, cucurrit là.
Sol duas horas in coelo habebat descendutus. Sancti Lazari stationem ferroviariam passante davante, jovanottum supradictum cum altero ejusdem farinae qui arbiter elegantiarum erat et qui de uno ex boutonis cappotti junioris consilium donabat vidi.

09 ottobre 2011

«Occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido.»

La pena di morte accompagna da sempre l'umanità.
Uso il presente non solo perchè è tuttora applicata in troppi Paesi, ma anche perchè in molti Paesi che non la prevedono la gente la reclama per punire i crimini più odiosi.

L'istinto di vendicarsi è connaturato all'uomo e tale istinto è sempre stato assecondato dalle istituzioni, un po' per la tendenza tutta umana a fare giustizia sommaria e un po' perchè prevedere la pena di morte negli ordinamenti legislativi dovrebbe servire a "tener buone" le masse, anche se non c'è alcuna evidenza di riduzione dei crimini efferati nei Paesi che la prevedono.
Si consideri poi che in diversi Paesi la pena capitale è prevista non solo per punire i crimini ma anche per eliminare i dissidenti, gli oppositori politici o per eliminare chi è considerato diverso: nessuno sceglie il proprio orientamento sessuale, eppure in alcuni Paesi averne uno minoritario è considerato una colpa da punire con la tortura e la morte.
Quando sento chiedere "condanne esemplari" io rabbrividisco sempre: la giustizia deve infliggere condanne giuste, non condanne esemplari. Se si dovesse dar retta a ciò che la gente vuole, ci sarebbe un linciaggio al giorno in ogni città.

Purtroppo, eccetto pochissime eccezioni, il retaggio culturale della pena di morte è radicato in tutte le società e in tutte le culture. Le tre principali religioni monoteiste (Ebraismo, Islam e Cristianesimo), che pure predicano l'amore universale, la bontà e il rispetto reciproco, considerano accettabile la pena di morte ed è prevista dai loro testi sacri.
Per quanto riguarda il Cristianesimo - partendo dal ben noto "Occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido" di Esodo 21,24 su cui si basa la legittimazione morale della pena capitale nei Paesi occidentali e principalmente negli Stati Uniti - innumerevoli versetti della Bibbia indicano la pena di morte come giusta punizione e specificano con precisione i casi e i modi in cui dev'essere comminata.

Sarebbe facile dire che certi Paesi mantengono la pena capitale nei loro ordinamenti perchè si tratta di Paesi culturalmente più arretrati, quindi parlerò di cosa succede in quelli evoluti, o meglio di cosa succede nel Paese che pretende di ergersi a esempio di civiltà per tutto il mondo.

Negli Stati Uniti la carica di giudice è elettiva in una quarantina di Stati, il chè significa che i giudici vengono eletti dal popolo esattamente come il sindaco e i politici; anche in Italia un partito politico ha ipotizzato di rendere elettiva la carica di giudice ma spero che nessun Governo si sogni mai di introdurre questa regola.
Ora, se un giudice viene eletto dal popolo, quali garanzie può dare circa la sua imparzialità di giudizio? Se il popolo chiede a gran voce la pena di morte (perchè le masse non ragionano con la lucidità propria del cervello ma piuttosto con l'istinto sanguinario della pancia e sono sempre pronte a linciare il presunto colpevole) quale giudice andrebbe contro i desiderata di chi lo ha eletto rischiando di non vedersi riconfermato nell'incarico alle successive elezioni?

Il problema è che la giustizia è amministrata dagli uomini e gli uomini per loro natura non sono infallibili, anzi sbagliano assai di frequente.
Il sito web del 'Death Penalty Information Center' (link) evidenzia come dal 1973 a oggi, in America, ben 138 persone in 26 Stati abbiano avuto una revisione del processo e siano state assolte con formula piena per non aver commesso il fatto. (link)
La cosa terribile e inaccettabile è che in precedenza quelle 138 persone erano state condannate alla pena capitale: sono state anni e anni nei bracci della morte ad aspettare l'incontro col boia e a sentir gridare "Dead man walking!" ("Morto che cammina!") quando passavano accanto alle guardie.

Il caso più impressionante è quello di Peter Limone (link).
Limone fu accusato di omicidio e condannato alla sedia elettrica nel 1968 insieme ad altre tre persone. Le testimonianze che inchiodarono lui e gli altri tre erano false, ma occorsero 33 anni per scoprirlo e Limone usci dal braccio della morte da uomo libero e riabilitato solo nel 2001.
Rimase in prigione pur essendo innocente ben 33 anni: più o meno 396 mesi, ovvero 12.050 giorni, ovvero 289.200 ore.
Nel frattempo due dei suoi "complici", pure innocenti, morirono in galera e il terzo fu scarcerato quattro anni prima di Limone.

Ci rendiamo conto di cosa significano ben 138 condannati a morte e riconosciuti innocenti solo per caso, magari scagionati da un test del DNA non disponibile all'epoca della condanna, o perchè qualcuno ha confessato dopo anni di aver testimoniato il falso, o perchè dei giudici hanno deciso di seguire la coscienza anzichè l'interesse e hanno riaperto casi già chiusi?
Per 138 innocenti riconosciuti tali dopo anni di braccio della morte e riabilitati, quanti sono stati gl'innocenti ingiustamente finiti sulla sedia elettrica, nella camera a gas o uccisi dalle iniezioni letali? 
Fosse anche uno solo, per me un unico innocente condannato a morte è inaccettabile, dunque per me diventa inaccettabile anche la pena di morte, senza eccezione alcuna.

Qualcuno può forse obiettare che se io stesso o qualcuno dei miei cari dovesse essere vittima di un crimine efferato cambierei idea. No, non è così.
Purtroppo su questo la vita mi ha già messo pesantemente alla prova e nonostante tutto rimango convintamente contrario alla pena capitale. Per me è importante che non sia prevista negli ordinamenti per evitare che anche un solo innocente sia messo a morte e ciò per un motivo assai semplice: quell'innocente condannato per sbaglio potrebbe essere chiunque: potrebbe essere chi mi sta leggendo, uno dei miei cari... potrei anche essere  io e non voglio che ciò possa accadere.

Ricordo che anni fa un vigile urbano lasciò sotto il tergicristallo della mia macchina una contravvenzione per disco orario scaduto: ma me la elevò 10 minuti prima che scadesse effettivamente il tempo consentito per la sosta perchè interpretò male l'ora indicata. 
Andai al comando della Polizia Municipale per spiegare le mie ragioni e il funzionario con cui parlai mi disse che non poteva fare nulla, perchè era la mia parola contro quella del vigile che mi aveva multato e che tutt'al più avrei dovuto esporre le mie ragioni a quel vigile nel momento in cui mi sanzionava. Si, va bene, ma io in quel momento mica ero lì... e alla fine dovetti pagare quella sanzione ingiustamente comminatami.
Da questo piccolo episodio capii che potevo in qualsiasi momento trovarmi nell'impossibilità di dimostrare la mia innocenza ed essere costretto a subire una pena ingiusta; quella volta il non poter dimostrare la mia innocenza mi costò una multa, ma se invece qualcuno mi avesse accusato di un crimine gravissimo, se non avessi potuto provare di non averlo commesso, se un giudice non avesse creduto alla mia innocenza e mi avesse condannato?
No, nessun crimine, per quanto grave, dovrebbe essere punito con la morte del reo perchè i giudici sono umani e in quanto tali sono fallibili. A certi errori non si può porre rimedio.

Sono sempre di più gli Stati che cancellano la pena di morte dai loro ordinamenti e spero che un giorno questa barbarie scompaia del tutto.
Il 10 ottobre, domani, sarà la "Giornata Mondiale Contro La Pena Di Morte" e in rete ho trovato una bella illustrazione che la sostiene: si tratta di un'opera del disegnatore libanese Fouad Mezher (link), che ringrazio di cuore per avermi concesso di pubblicarla sul mio blog.
Nelle rapprersentazioni allegoriche, la Giustizia è una donna con una bilancia in una mano e una spada nell'altra. La bilancia simboleggia l'equità e l'equilibrio del giudizio, mentre la spada rappresenta la forza e il potere che la Giustizia deve avere per imporre e far rispettare i suoi giudizi.
Il terzo attributo dell'allegoria della Giustzia è la benda sugli occhi, con il significato positivo dell'imparzalità nel giudicare proprio di chi "non guarda in faccia nessuno".

Ebbene, quando la Giustizia getta a terra la bilancia, depone la spada e si appoggia al palo di una forca per farsi un bicchiere e fumarsi una sigaretta insieme alla Morte, smette di essere Giustizia.
Pensiamoci... pensiamo a quei 138 innocenti restituiti per caso alla vita e pensiamo al numero infinitamente più alto di uomini e donne che sono stati - e saranno - messi a morte pur non avendo commesso alcun reato

Uno solo è già troppo.

© Fouad Mezher.

03 ottobre 2011

Birds On The Wires.

Quando si ha un discreto spirito di osservazione, la mente aperta e la capacità di trasporre in àmbiti diversi ciò che si vede, può capitare che da una semplice foto pubblicata in una rivista il genio di turno sia capace di "estrarre" una musica. 
Sembra incredibile, eppure capita.

Jarbas Agnelli è un musicista brasiliano ma il suo cognome tradisce origini italiane (e che origini... anche se probabilmente si tratta solo di omonimia). Tempo addietro Agnelli vide su una rivista la foto di un paesaggio - sembra una delle tante favelas che ci sono in Brasile - con una linea elettrica in primo piano e diversi uccelli appollaiati sui fili.


Quei cinque fili e gli uccelli che vi disegnavano sopra tante macchie nere devono essere apparsi famigliari al musicista: un pentagramma i fili elettrici e note gli uccelli. Agnelli ebbe la curiosità di sentire che musica potessero aver inconsapevolmente composto quei volatili posandosi sui fili in maniera del tutto casuale e la melodia che ne scaturì, pur non essendo nulla di straordinario, è tuttavia affascinante per il modo in cui è stata generata. Gli uccelli non fanno musica solo con i loro cinguettii ma anche semplicemente stando su una linea elettrica.

Ci sono esempi noti di musiche composte in modo casuale; pare che Mozart stesso abbia "creato" brani musicali scrivendo su foglietti di carta brevissime sequenze armoniche e melodiche di una battuta e poi, estraendo casualmente i bigliettini da un sacchetto, li abbia messi in fila e abbia trascritto le battute ottenendo così delle composizioni. 
Ricordo che una trentina di anni fa, quando muovevo i miei primi passi nel mondo dei computer utilizzando il mitico Commodore 64, avevo un programma che faceva giusto qualcosa di simile: il software consisteva in un discreto numero di sequenze melodico-armoniche prefissate che venivano scelte e accostate, come in un mosaico musicale, a partire da un numero casuale di 8 cifre (o multipli di 8, perchè il programma generava brani in 4/4) che si digitava. Il risultato era una musica di genere barocco, una partitura piuttosto gradevole riprodotta imitando il suono del clavicembalo.

Di recente qualcuno ha visto della musica nascosta perfino sulla tavola della famosissima "Ultima Cena" affrescata da Leonardo nel refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie a Milano: pare che la disposizione dei pani sul tavolo possa essere letta come uno spartito... ma dopo il successo del famoso libro di Dan Brown "Il Codice Da Vinci" ormai in quell'affresco la gente ci vede di tutto, quasi fosse una delle tavole del test proiettivo di Rorschach.

Tornando a Jarbas Agnelli, dal suo canale Vimeo (link) ecco il video "Birds On The Wires"; suggerisco di guardarlo a schermo intero.


Birds on the Wires from Jarbas Agnelli on Vimeo.